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La presentazione dell’ultimo romanzo di Gabriele Adinolfi “I rossi, i neri e la morte” non è stata solo un’occasione per ribadire, come in occasione del precedente “Quella strage fascista, come il romanzo storico possa essere un’arma per combattere la vulgata falsa e funzionale al mantenimento dello statu quo da parte del estabilishment culturale dominante. Accanto all’analisi degli eventi che caratterizzarono un periodo sanguinoso come quello collocabile dal gennaio al maggio 1978 (tra l’eccidio di Acca Larentia e l’omicidio di Aldo Moro), vi è stata una riflessione sull’influenza che ancora oggi esercitano dinamiche simili a quelle che portarono a quei tragici eventi che si possono sommariamente racchiudere nella formula della “strategia della tensione”.

Dall’altra parte vi è stata una riflessione ben più ampia sia sul metodo di analisi di questi temi sia sulla prefigurazione di possibili strategie alternative per superare una situazione creata da un concorso di forze sovranazionali che hanno creato una società post-democratica sempre più simile alle profezie orwelliane. Va però notato che Adinolfi si discosta nettamente dal “complottismo” (pur non negando l’esistenza di centrali della sovversione), ma parlando invece di un più realistico concorso – scontro di forze potenti economicamente, culturalmente e politicamente al punto da potere condizionare le dinamiche degli eventi. La prospettiva di lettura del romanzo di Adinolfi offre anche degli spunti di analisi antropologica delle personalità che svolgono un ruolo in determinati contesti. Infatti, nota Adinolfi, chi svolge un piano dall’alto lo può mettere in atto solo se dal basso vi è un tipo umano plasmato al punto da rendersi strumentale e rassegnato a quel piano. Da qui, ci piace aggiungere, l’esigenza di una rivoluzione che sia prima di tutto interiore e antropologica, per creare negli uomini liberi gli anticorpi necessari a non farsi condizionare dall’indottrinamento sistemico e sistematico. Spunti in questo senso sono venuti anche dalla constatazione della necessità di creare gruppi di “contropotere”, comunità di mutuo soccorso che di fronte al definirsi degli eventi potrà presentarsi di fronte al popolo (in maniera non certo “elettorale”) con un messaggio forte di cambiamento.

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