… IL SOLE NON SORGE PIU’ AD EST …

Rivolta di Budapest

Era il 23 ottobre del 1956, quando alla manifestazione di migliaia di studenti fuoriusciti dalla Gioventù Comunista, che chiedono di cambiare i meccanismi di accesso all’istruzione, si aggiunge un’altra manifestazione a favore degli operai insorti a Poznan (Polonia), dando vita, di fatto, ad una protesta di un intero popolo oppresso ormai da anni dal regime comunista ungherese.

In quello stesso giorno, nella Piazza del Parlamento 200.000 persone – studenti, braccianti, impiegati ed operai – chiedono che al governo vada il riformista Imre Nagy. In questi anni si assiste al fallimento della politica economica socialista mentre i salari inadeguati al costo della vita, la diffusa povertà e gli abusi dell’apparato repressivo comunista alimentano sempre di più la profonda insoddisfazione del popolo ungherese.

Durante i cortei viene distrutta la statua di Stalin e la polizia risponde sparando sulla folla.

Ne seguono scontri durissimi tra dimostranti antisovietici e polizia politica AVH; il governo presieduto dai comunisti Gero e Hegedus viene sciolto. Giunto al potere, Nagy, proclama il ritiro dal Patto di Varsavia (l’alleanza militare dei paesi comunisti dell’Est-Europa con l’U.R.S.S ).

Nei giorni successivi, la rivolta si estende anche nel resto del paese ed il Partito Comunista Ungherese cessa praticamente di esistere.

I ribelli ungheresi formulano, quindi, le loro richieste: governo di coalizione, cessate il fuoco, ritiro dei Sovietici, abolizione della polizia segreta AVH, libere elezioni e uscita dal Patto di Varsavia.

Tra il 29 ottobre ed il 3 novembre sembra finalmente che le truppe sovietiche si ritirino. Nel frattempo il comunista J. Kádár, si appella fortemente ai sovietici perché teme la fine definitiva della Repubblica Popolare d’Ungheria.

L’appello non rimane inascoltato: i russi, approfittando della crisi del Canale di Suez che sposta l’attenzione mondiale sull’Egitto, intervengono militarmente con il benestare del leader sovietico Kruscev.

Il 4 novembre l’Armata Rossa sovietica attacca Budapest e nei combattimenti muoiono 3.000 ungheresi (2.000 solo a Budapest). In tre settimane i carri armati sovietici annientano le forze ungheresi rivoluzionarie, non senza eroiche resistenze da parte di quest’ultime; condanne a morte e pene durissime siglano la fine della rivolta,che provoca l’esodo all’estero di 250.000 ungheresi.

In Italia le reazioni a questi avvenimenti sono state contrastanti. Molti studenti di destra e vicini alle organizzazioni studentesche del M.S.I. (ad esempio Giovane Italia) scendono in piazza protestando vivacemente a sostegno dei ribelli ungheresi.

All’interno del Partito Comunista Italiano si registrano da un lato l’appoggio alla repressione sovietica dall’altro invece abbiamo numerose fuoriuscite dal partito in segno di protesta contro l’intervento militare. Antonio Giolitti e altri dirigenti comunisti di primo piano lasciarono il Partito Comunista Italiano, mentre “l’Unità” definiva «teppisti» gli operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano si profondeva in elogi ai sovietici. L’Unione Sovietica, infatti, secondo lui, sparando con i carri armati sulle folle inermi e facendo fucilare i rivoltosi di Budapest, avrebbe addirittura contribuito a rafforzare la «pace nel mondo»…
Quello che, però, colpisce di più è il “non intervento” da parte dell’Occidente europeo, democratico e filo-americano, che abbandona colpevolmente i patrioti ungheresi al loro destino, a finire cioè straziati sotto i cingoli dei carri armati della repressione della superpotenza militare sovietica